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Largo Pozzi a Turi

un luogo storico

28 luglio 2012

Un muro di drenaggio rinvenuto nell’ultimo scavo per l’adeguamento del recapito finale delle acque meteoriche, davanti all’agenzia di viaggio Di Turintur, ha prolungato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla questione dei Pozzi.

La  Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici, in seguito ad una richiesta di un parere da parte del Comune di Turi,  ha risposto che “si può abbattere il muro per la parte necessaria al deposito della cisterna” per  riaprire il cantiere di Largo Pozzi. Si dovrà “smontare” il muro, numerando le pietre, per poi ricollocarlo non si sa dove.

Lunga è stata l’attesa, ma la risposta non soddisfa ancora quanti vedono nella riscoperta di manufatti di quel “famoso” largo pozzi la possibilità di preservarli per conservare memoria visiva del passato.

Tutti sanno che c’erano i pozzi, ma nessuno, penso, sa esattamente  in quali condizioni e in quale posizione.

A noi uomini di “penna”, nell’attesa di futuribili progetti, tocca conservare memoria da tramandare, affidandoci, in mancanza di documentazione certa  a testimonianze.

Attualmente, asfaltata, largo pozzi, posto  a sud ovest dell’abitato, all’estremo di via XX Settembre ( ex via dei Pozzi ) è adibito ad area parcheggio, diventa zona mercato settimanale e, durante le feste, offre location al parco giochi.  A forma di trapezio isoscele, con due fila opposte di pini sui lati obliqui,  contiene una stazione di carburante nell’angolo SW , una palazzina di case popolari sul lato N, ed una pesa pubblica in disuso sul lato Sud.  Decentrato verso Nord un cerchio di mura nasconde un inghiottitoio (la grave); le acque meteoriche, talvolta, diventano torrentizie  e le griglie non sempre sufficienti , causando  un allagamento dell’area.

Ma com’era largo Pozzi tanto tempo fa?

Largo pozzi è una depressione carsica con un inghiottitoio; confinava a Sud col tratto cittadino della strada che porta  a  Sammichele di B. ( la  zona pedonale a sud est della cappellina  era l’inizio di tale strada);  ad W confinava con una via sterrata che la separava dall’orto di Giannatelli, dal molino Gasparro e dalla masseria di Zaccheo;  a Est con  l’abitato e la Cappellina di S. Rocco in prima fila; a Nord (dove ora si trova la caserma e l’ex mattatoio) confinava con un’area battuta che accoglieva i giocatori di pallone, dove ha consumato le scarpe il futuro mago del pallone, Oronzo Pugliese.

Ho intervistato alcuni anziani e, in modo particolare, la Sig.ra Maria D. Valerio, classe 32, che abita dalla nascita proprio ai margini dell’area, a lato della via che porta a Sammichele, al civico 7.

Suo padre Gennaro (1884-1967) acquistò nel 1924 uno dei 4 monolocali  di proprietà di un certo Casilli; tali costruzioni precedevano zone utilizzate a orto ed  erano separate con un muro a secco dalla via polverosa che porta a Sammichele.

Maria  ricorda che l’ingresso di casa sua era sopraelevato di 2 gradini rispetto alla strada e che l’ultima casa dei Casilli fu acquistata da Zita Francesco; dopo v’era l’orto di Stefano Iacovazzi (Papasiste), in esso esisteva una piccola casa, dove vivevano in affitto la famiglia di Girolamo Maiuro, padre di Giovanni (Giacomo rondinella).  Dopo l’orto, a ridosso della ferrovia, v’era una cava di pietre (“u petrère”) da dove, alla fine dell’800, ricavarono le pietre per la costruzione del carcere, ex convento delle clarisse. Largo pozzi era limitato da un muro, che si apriva sul lato Est attraverso il quale si scendeva con 15 gradini nella pancia dell’area.

Maria ricorda che la strada antistante aveva una forte concavità che raggiungeva quasi due metri di dislivello e metteva a dura prova i trainijre, che doveva talvolta scendere a terra per aiutare l’animale a risalire.

Di fronte a casa sua, sul margine  della strada, un ponte in pietra superava l’avvallamento ed un canalone, che menava l’acqua piovana dalla ferrovia (dove ora abita Volza)  verso una grossa cisterna, posizionata vicino all’attuale distributore Agip;  un’altra cisterna era posta vicino alle case popolari.

Un ponte di pietra principiava dalla pesa fino al distributore di carburante e sovrastava i pozzi,  nel punto più  alto, anche di 15 metri e concludeva a pochi metri dall’orto di Giannatelli;  era temuto dalle mamme di quei bambini che vi transitavano per gioco.

Nel lug 43 i tedeschi lasciano Turi e dopo 4 mesi arrivano gli alleati; i canadesi per prima con i cappellini rossi , provenienti da Casamassima con la jeep,  si fermano“sòbbe o Treppizze” e, dopo essere stati circondati da molti turesi presenti, si rifocillano nel caffè di Losacco;  la truppa che sopraggiungerà si  accamperà “abbasce è scole” , mentre l’Alto comando  con le “donnine” al seguito, alloggieranno nel palazzo marchesale.

Largo pozzi, nel ’43,  è già una discarica a cielo aperto: gli alleati lo utilizzano anche per buttarci dentro copertoni, lattine, taniche, parti meccaniche inutilizzate e quant’altro; i pozzi erano da tempo  poco usati, perché il fascismo, nel 1934, aveva provveduto a dotare il paese di acquedotto e di fontane pubbliche, una decina.

Maria  ricorda: gli alleati per disinfestare  l’area dei pozzi cosparsero di carburante una larga parte di essa; Cirillo che abitava in un locale del mulino di Gasparro con molti figli, lanciò un tizzone acceso, provocando fiamme alte e fumo nero intenso.

Esisteva un pozzo che si riempiva, anche durante la siccita, di acqua sorgiva.  Largo pozzi, talvolta, si allagava tanto da formare un lago e i bambini  facevano in esso  il bagno; quando, poi, il lago si prosciugava, milioni di rane (ndravuèttele) affollavano la via e gli abitanti impiegavano giorni prima di farli morire. Talvolta, l’acqua, dopo le piogge, ristagnava fino a quando l’inghiottitoio si liberava dell’ingombrante e,  sollevando una colonna d’acqua, risucchiava tutto.

Si dice che “nu votene” (2) buttato nella grave fu visto galleggiare nel mar di S. Vito a Polignano.

Nel ’47, Vito Palmisano (sprusce de pampene), costruì casa sua nell’orto di Genghi, in via della Rinascita  e portò il materiale di risulta  da scavo a largo pozzi ; per costruire, pagò una tassa come “profitto di guerra”;  quelli che costruivano portavano terra e pietrame nell’area dei pozzi, fino a riempirla; l’area dell’inghiottitoio  viene protetta da una grossa grata intorno e sulla bocca di accesso.

Nel 1954 venne realizzato il riempimento dell’avvallamento della via per Sammichele  per opera del Commissario prefettizio; nella stessa posizione furono collocate le griglie di scolo con una tubazione che portava l’acqua piovana verso l’inghiottitoio; il ponte e i muretti di contenimento della strada furono abbattuti.

Il 13 maggio 1979 una tragedia: un bambino, Giacomo Savino, per recuperare un pallone caduto nell’area della grave,  scivolò nell’inghiottitoio; fu trovato esanime e costrinse l’Amministrazione comunale ad erigere  Il muro di cinta attuale.

Durante le piogge, l’acqua riusciva a filtrare nel terreno, perché la superficie non era asfaltata.

Del muro di drenaggio rinvenuto nell’ultimo scavo, davanti all’immobile dei Rossi e all’agenzia di viaggio Di Turintur, Maria non ha ricordo.

Una mia riflessione: La valutazione di preservare  vecchi manufatti deve anche considerare spesso l’utilità, la convenienza, il costo di realizzo e di manutenzione. Molte opere vengono realizzate per preservare o recuperare il passato, ma poi, i poche mezzi economici, un vandalismo gratuito, la poca attenzione ed interesse della collettività vanificano l’onere speso ed è tutto come prima; vedi l’ex mattatoio di largo pozzi, il cimitero dei colerosi, il cinema, l’ospedale, l’asilo nido ed altri immobili ora obsoleti o abbandonati. Scarseggia la cultura del bene comune, per il quale ognuno è anche responsabile, per la parte che gli compete.

Una responsabilità condivisa favorirebbe la conservazione ed il rispetto della cosa pubblica.

foto pubblicata dall’ARCI di Turi

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  Gennaro Valerio, durante la 1^ Guerra mondiale, in trincea ai confini con l’Austria come fante di Sua Maestà,  fu colpito da una pallottola tedesca che attraversò il gomito dx, la giubba, il portafoglio, dove conservava lettere e soldi, per fermarsi davanti all’immagine di S. Oronzo che portava sempre con sé insieme con quella della SS Addolorata.

Per gratitudine e devozione, nel 1916 fece erigere, al ritorno a casa, al principio del viale del cimitero di via Rutigliano, una colonna, scolpita da Oronzo Camposeo, e pose sopra una statua di S. Oronzo commissionata ad uno scultore di Lecce;  spese per tutta l’opera 520 lire.

(2)  votene= imbuto di legno utilizzato durante la vendemmia per riempire le botti del mosto prodotto. Serviva ad “allargare” la bocca della botte. E’ detto anche di un grosso vuoto nel terreno (votano)

Beppe, un mio amico, giorni fa mi ha mostrato una foto consegnatagli da sua cugina Maria, che non conosceva la persona rappresentata in essa; la foto faceva parte degli oggetti che il defunto padre Pietro aveva lasciato.

Sotto la foto un nome “bersagliere Giovinazzi Vito Stefano: Presente”; quel nome e la nota sul retro della foto “Sidi Barrani – bombardamento aereo” mi hanno incuriosito e poi quel “ Presente”, come se volesse dire: ancora vivo.

Giovinazzi è un cognome a me noto; un giro di telefonate mi conduce proprio ad un amico, Mimmo Giovinazzi, nipote di Vito Stefano, che mi apre finestre di un vissuto sconosciuto.

Mi informa che Vito Stefano era il figlio minore di Leonardo e Coppi Maria Giuseppa. Fratello di V. Donato, V. Modesto (suo padre) e di Lucia, sposa di Giovanni Carenza (classe 1916), è morto in guerra il 17 Settembre 1940, ma non sa dove giace il suo corpo.

(nella foto – Campanelli al centro, Giovinazzi a dx)

Mimmo conserva un opuscolo “L’Odissea di un grumese nella storia del 20 secolo”, pubblicato nel 1999 dal dott. Giacomo Spadafina – ed. Solazzo, in cui Giuseppe Campanelli, detto Pupino, commilitone di Vito Stefano, racconta un po’ della sua vita e del periodo della seconda guerra mondiale.

Campanelli racconta che, a marzi del ’40, fu chiamato alle armi, destinato a Napoli e assegnato al battaglione dei Bersaglieri motociclisti; dopo un mese di esercitazioni, a maggio del 1940, fu imbarcato per la Libia sulla nave Liguria, destinazione fronte egiziano. Giuseppe guidava una motocicletta biposto “Alce” con sella più alta dietro, che sarà occupata spesso dal Giovinazzi che con un cannocchiale aveva il compito di osservare i movimenti del nemico

.

All’inizio la guerra sul fronte libico-egiziano sembrava favorevole agli italiani tanto da occupare un esteso territorio della città di Sidi Barrani. I bersaglieri, il 16 Settembre dello stesso anno, furono i primi ad occupare la zona; arrivarono col caldo afoso assetati e disidratati, tanto da essere costretti a bere acqua sporca da un pozzo abbandonato, calando giù scarpe legate a parecchie cinture.

Dopo poche ore dall’occupazione iniziò la controffensiva inglese. I bersaglieri accampati sulla riva del mare furono i primi ad essere attaccati da un imponente bombardamento navale ed aereo.

Il 17 Settembre 1940, a seguito di un ennesimo incursione aerea, il nostro turese, che era in piedi vicino alla motocicletta, fu colpito a morte dalle schegge, mentre l’amico si salvò perchè disteso a terra.

Il corpo di Giovinazzi verrà deposto, a Sidi Barrani, in una fossa su cui una tavoletta segnava il suo nome, come risulta dall’annotazione sull’atto di morte, registrato al Comune di Turi il 4/8/1941 al N. 87.

Il P.N.F. pubblica nel 1942, anno XX, GIOVINEZZA EROICA, bollettino, n. 553, in cui sono elencati i “ragazzi di Mussolini, emblema della Giovinezza eroica, caduti sui vari fronti bellici, che hanno sacrificato la loro vita per la gloria di un Impero“.

La parola ‘presente’, incisa a grandi caratteri sulle facciate delle scale di Redipuglia, viene riproposta nella pubblicazione dei caduti nell’Era fascista, per trasmettere l’idea che i caduti saranno eternamente presenti nel ricordo dei viventi.

Giovinazzi Vito Stefano, matr. 13714, aveva 20 anni quando fu chiamato alle armi il 17/3/1940; agricoltore alto 1,68 , torace cm. 87, capelli castani, con la terza elementare, fu arruolato nel 1° Reggimento Bersaglieri;

viene imbarcato a Napoli per la Libia, dove sbarca a Tripoli il 12 maggio ed assegnato alla 10^ Compagnia motociclista del VII Corpo d’Armata.

L’Italia entra in guerra il 10 giugno 1940, annunziata dal balcone di piazza Venezia e Vito Stefano raggiunge col suo battaglione il fronte egiziano il 19 giugno e dopo tre mesi, il 17 Settembre, resterà vittima dell’ennesimo bombardamento inglese.

In sei mesi si spegneranno le speranze del giovane soldato di tornare a casa, come per tanti altri, 300.000 circa, che la guerra sacrificherà sull’altare della follia.

Il corpo di Giovinazzi, deposto a Sidi Barrani dopo la battaglia, dove giace ?

Dietro mia richiesta di informazione, il Ministero della Difesa non saputo dare una risposta certa; mi ha informato che, nel periodo 1949-1960, la delegazione italiana, presieduta dal Ten. Col. Paolo CACCIA DOMINIONI, veterano delle battaglie combattute a El Alamein, si prodigò alla ricerca dei nostri Caduti in tutte le zone del territorio egiziano ove erano avvenuti i combattimenti e che probabilmente il corpo del nostro concittadino riposi tra gli “Ignoti” del Sacrario Militare di El Alamein.

Il fratello V. Modesto fu più fortunato; anche lui militare in Africa si salvò tornando a casa con un aereo tedesco.

Il cognato G. Carenza (nato il 20/6/1916), militare in Africa morirà in mare per affondamento della motonave Città di Messina.

Alle cinque del pomeriggio dell’11 gennaio 1941 la Città di Messina, con a bordo 598 uomini tra cui 460 ufficiali, sottufficiali ed avieri della Regia Aeronautica (tra cui parte degli uomini della 90a Squadriglia Caccia della V Squadra Aerea ed il personale del 9° Stormo, che doveva essere rimpatriato) che stavano venendo evacuati dalla Cirenaica, dove le forze britanniche erano in travolgente avanzata, partì da Bengasi (che sarebbe caduta il 6 febbraio) diretta a Tripoli, scortata dalla torpediniera Centauro.

Alle 8.50 del 15 gennaio, la Città di Messina venne silurata dal sommergile inglese Regent, ed affondò al largo di Homs, circa 45 miglia ad est di Tripoli, nel golfo della Sirte (per altre fonti al largo di Misurata o di Bengasi). La Centauro, dopo aver eluso altri siluri che il Regent le aveva lanciato, recuperò i 166 sopravvissuti, che furono sbarcati in Libia. Il bilancio fu pesantissimo: 432 uomini affondarono con la Città di Messina (tra di essi, 53 uomini del 9° Stormo della Regia Aeronautica).

I nomi di Giovinazzi Vito Stefano e Giovanni Carenza sono impressi sul monumento ai Caduti turesi e indicano due vie della nostra città.

472 354 furono gli italiani, militari e civili, vittime della 2^ guerra mondiale su un totale di 68 047 059.

Sidi El Barrani (riquadro nella foto ) è spesso ricordata dal punto di vista storico per descrivere l’estensione iniziale dell’invasione dell’Egitto ad opera delle forze italiane provenienti dalla Libia nel settembre del 1940. Una serie di forti e linee difensive vennero stabilite dalla 10ª Armata Italiana tra questa località e la vicina Sollum.

Il 13 settembre 1940 il maresciallo Rodolfo Graziani, il comandante superiore in Libia, lanciò un’offensiva entrando in territorio egiziano con alcune colonne motorizzate della 10ª Armata del generale Mario Berti; il maresciallo aveva infine dovuto prendere l’iniziativa dopo essere stato criticato da Mussolini per la sua passività e il suo pessimismo. Inizialmente le deboli ma agili forze britanniche si ritirarono e si concentrarono nel campo trincerato di Marsa Matruh.

Il 16 settembre, le truppe italiane del raggruppamento del generale Annibale Bergonzoli entrarono a Sidi Barrani, preceduti dai Bersaglieri, ma dal giorno dopo saranno oggetto di bombardamento aereo e navale.

Nei mesi successivi la West Desert Force britannica fu rinforzata e l’8 dicembre 1940 gli Inglesi diedero inizio all’offensiva contro le forze italiane penetrate in Egitto. Attaccata da terra e bombardata dal mare, Sidi Barrani fu praticamente distrutta e conquistata dalle truppe inglesi il 10 dicembre.

38.000 furono i soldati italiani fatti prigionieri. Il villaggio egiziano fu riconquistato dalle truppe dell’Asse il 13 aprile 1941 e poi definitivamente ripreso dagli Inglesi nel giugno 1942. I prigionieri saranno rinchiusi in campi di reclusione nelle foreste dell’India,(Wikipedia)