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Beppe, un mio amico, giorni fa mi ha mostrato una foto consegnatagli da sua cugina Maria, che non conosceva la persona rappresentata in essa; la foto faceva parte degli oggetti che il defunto padre Pietro aveva lasciato.

Sotto la foto un nome “bersagliere Giovinazzi Vito Stefano: Presente”; quel nome e la nota sul retro della foto “Sidi Barrani – bombardamento aereo” mi hanno incuriosito e poi quel “ Presente”, come se volesse dire: ancora vivo.

Giovinazzi è un cognome a me noto; un giro di telefonate mi conduce proprio ad un amico, Mimmo Giovinazzi, nipote di Vito Stefano, che mi apre finestre di un vissuto sconosciuto.

Mi informa che Vito Stefano era il figlio minore di Leonardo e Coppi Maria Giuseppa. Fratello di V. Donato, V. Modesto (suo padre) e di Lucia, sposa di Giovanni Carenza (classe 1916), è morto in guerra il 17 Settembre 1940, ma non sa dove giace il suo corpo.

(nella foto – Campanelli al centro, Giovinazzi a dx)

Mimmo conserva un opuscolo “L’Odissea di un grumese nella storia del 20 secolo”, pubblicato nel 1999 dal dott. Giacomo Spadafina – ed. Solazzo, in cui Giuseppe Campanelli, detto Pupino, commilitone di Vito Stefano, racconta un po’ della sua vita e del periodo della seconda guerra mondiale.

Campanelli racconta che, a marzi del ’40, fu chiamato alle armi, destinato a Napoli e assegnato al battaglione dei Bersaglieri motociclisti; dopo un mese di esercitazioni, a maggio del 1940, fu imbarcato per la Libia sulla nave Liguria, destinazione fronte egiziano. Giuseppe guidava una motocicletta biposto “Alce” con sella più alta dietro, che sarà occupata spesso dal Giovinazzi che con un cannocchiale aveva il compito di osservare i movimenti del nemico

.

All’inizio la guerra sul fronte libico-egiziano sembrava favorevole agli italiani tanto da occupare un esteso territorio della città di Sidi Barrani. I bersaglieri, il 16 Settembre dello stesso anno, furono i primi ad occupare la zona; arrivarono col caldo afoso assetati e disidratati, tanto da essere costretti a bere acqua sporca da un pozzo abbandonato, calando giù scarpe legate a parecchie cinture.

Dopo poche ore dall’occupazione iniziò la controffensiva inglese. I bersaglieri accampati sulla riva del mare furono i primi ad essere attaccati da un imponente bombardamento navale ed aereo.

Il 17 Settembre 1940, a seguito di un ennesimo incursione aerea, il nostro turese, che era in piedi vicino alla motocicletta, fu colpito a morte dalle schegge, mentre l’amico si salvò perchè disteso a terra.

Il corpo di Giovinazzi verrà deposto, a Sidi Barrani, in una fossa su cui una tavoletta segnava il suo nome, come risulta dall’annotazione sull’atto di morte, registrato al Comune di Turi il 4/8/1941 al N. 87.

Il P.N.F. pubblica nel 1942, anno XX, GIOVINEZZA EROICA, bollettino, n. 553, in cui sono elencati i “ragazzi di Mussolini, emblema della Giovinezza eroica, caduti sui vari fronti bellici, che hanno sacrificato la loro vita per la gloria di un Impero“.

La parola ‘presente’, incisa a grandi caratteri sulle facciate delle scale di Redipuglia, viene riproposta nella pubblicazione dei caduti nell’Era fascista, per trasmettere l’idea che i caduti saranno eternamente presenti nel ricordo dei viventi.

Giovinazzi Vito Stefano, matr. 13714, aveva 20 anni quando fu chiamato alle armi il 17/3/1940; agricoltore alto 1,68 , torace cm. 87, capelli castani, con la terza elementare, fu arruolato nel 1° Reggimento Bersaglieri;

viene imbarcato a Napoli per la Libia, dove sbarca a Tripoli il 12 maggio ed assegnato alla 10^ Compagnia motociclista del VII Corpo d’Armata.

L’Italia entra in guerra il 10 giugno 1940, annunziata dal balcone di piazza Venezia e Vito Stefano raggiunge col suo battaglione il fronte egiziano il 19 giugno e dopo tre mesi, il 17 Settembre, resterà vittima dell’ennesimo bombardamento inglese.

In sei mesi si spegneranno le speranze del giovane soldato di tornare a casa, come per tanti altri, 300.000 circa, che la guerra sacrificherà sull’altare della follia.

Il corpo di Giovinazzi, deposto a Sidi Barrani dopo la battaglia, dove giace ?

Dietro mia richiesta di informazione, il Ministero della Difesa non saputo dare una risposta certa; mi ha informato che, nel periodo 1949-1960, la delegazione italiana, presieduta dal Ten. Col. Paolo CACCIA DOMINIONI, veterano delle battaglie combattute a El Alamein, si prodigò alla ricerca dei nostri Caduti in tutte le zone del territorio egiziano ove erano avvenuti i combattimenti e che probabilmente il corpo del nostro concittadino riposi tra gli “Ignoti” del Sacrario Militare di El Alamein.

Il fratello V. Modesto fu più fortunato; anche lui militare in Africa si salvò tornando a casa con un aereo tedesco.

Il cognato G. Carenza (nato il 20/6/1916), militare in Africa morirà in mare per affondamento della motonave Città di Messina.

Alle cinque del pomeriggio dell’11 gennaio 1941 la Città di Messina, con a bordo 598 uomini tra cui 460 ufficiali, sottufficiali ed avieri della Regia Aeronautica (tra cui parte degli uomini della 90a Squadriglia Caccia della V Squadra Aerea ed il personale del 9° Stormo, che doveva essere rimpatriato) che stavano venendo evacuati dalla Cirenaica, dove le forze britanniche erano in travolgente avanzata, partì da Bengasi (che sarebbe caduta il 6 febbraio) diretta a Tripoli, scortata dalla torpediniera Centauro.

Alle 8.50 del 15 gennaio, la Città di Messina venne silurata dal sommergile inglese Regent, ed affondò al largo di Homs, circa 45 miglia ad est di Tripoli, nel golfo della Sirte (per altre fonti al largo di Misurata o di Bengasi). La Centauro, dopo aver eluso altri siluri che il Regent le aveva lanciato, recuperò i 166 sopravvissuti, che furono sbarcati in Libia. Il bilancio fu pesantissimo: 432 uomini affondarono con la Città di Messina (tra di essi, 53 uomini del 9° Stormo della Regia Aeronautica).

I nomi di Giovinazzi Vito Stefano e Giovanni Carenza sono impressi sul monumento ai Caduti turesi e indicano due vie della nostra città.

472 354 furono gli italiani, militari e civili, vittime della 2^ guerra mondiale su un totale di 68 047 059.

Sidi El Barrani (riquadro nella foto ) è spesso ricordata dal punto di vista storico per descrivere l’estensione iniziale dell’invasione dell’Egitto ad opera delle forze italiane provenienti dalla Libia nel settembre del 1940. Una serie di forti e linee difensive vennero stabilite dalla 10ª Armata Italiana tra questa località e la vicina Sollum.

Il 13 settembre 1940 il maresciallo Rodolfo Graziani, il comandante superiore in Libia, lanciò un’offensiva entrando in territorio egiziano con alcune colonne motorizzate della 10ª Armata del generale Mario Berti; il maresciallo aveva infine dovuto prendere l’iniziativa dopo essere stato criticato da Mussolini per la sua passività e il suo pessimismo. Inizialmente le deboli ma agili forze britanniche si ritirarono e si concentrarono nel campo trincerato di Marsa Matruh.

Il 16 settembre, le truppe italiane del raggruppamento del generale Annibale Bergonzoli entrarono a Sidi Barrani, preceduti dai Bersaglieri, ma dal giorno dopo saranno oggetto di bombardamento aereo e navale.

Nei mesi successivi la West Desert Force britannica fu rinforzata e l’8 dicembre 1940 gli Inglesi diedero inizio all’offensiva contro le forze italiane penetrate in Egitto. Attaccata da terra e bombardata dal mare, Sidi Barrani fu praticamente distrutta e conquistata dalle truppe inglesi il 10 dicembre.

38.000 furono i soldati italiani fatti prigionieri. Il villaggio egiziano fu riconquistato dalle truppe dell’Asse il 13 aprile 1941 e poi definitivamente ripreso dagli Inglesi nel giugno 1942. I prigionieri saranno rinchiusi in campi di reclusione nelle foreste dell’India,(Wikipedia)

A Turi, sulla facciata prospiciente del 1 piano dell’abitazione in via Magg. Orlandi angolo via Martinelli, vi è una lapide, dai caratteri sbiaditi e  che porta in alto un medaglione di bronzo molto ossidato raffigurante un uomo altero incorniciato da foglie di alloro: quel volto appartiene a  De Donato di Pietro (medico di Polignano, oratore della Società segreta “Nuova Sparta”) e Angela Zita , sposato con Teresa Caracciolo (1831-1911), morto il 27 aprile 1898 all’età di 77 anni. La lapide è opera dello scultore Michele Accolti di Conversano.

L’Amministrazione pose quella lapide, l’anno dopo la sua morte,  per gratitudine ed ricordare ai posteri   la sua azione di medico condotto; un comitato, presieduto da Giovanni Torchiarulo,  il dott. veterinario Domenico  Resta di Raffaele e Lorizio Giovanni A.

L’epigrafe fu dettata da suo nipote, prof. Pietro De Donato Giannini:

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